Mausoleo di Karakhan - Taraz

Un giorno a Taraz, la perla della Via della Seta

Vieni con me a scoprire Taraz, tra piccole disavventure in una delle città più importanti dell’antica via della seta.


Arrivo a Taraz un paio di ore dopo aver preso il treno da Shymkent. Uno di quei treni lenti e un po’ sporchi, dove ci sono solo cuccette perché il Kazakistan è dannatamente enorme, e i viaggi durano tantissime ore.
Scendo alla stazione di Taraz e mi immergo nell’atmosfera cittadina. Sembra una città molto moderna, con evidenti residui sovietici, come le vecchie macchine scassate che attraversano rumorose le strade.
Ci sono voluti ben 600 anni per riportare Taraz all’essere di nuovo una città, dopo essere stata rasa al suolo da Gengis Khan nel XIII secolo.
All’epoca era una delle città più ricche della Via della Seta e divenne la capitale dei karakhanidi, una popolazione turca che regnò nell’Asia Centrale tra l’XI e il XII secolo.

All’esplorazione di Taraz


Come prima tappa mi dirigo a Dostyk Alany, grande piazza per cerimonie nel cuore della città. Un tripudio di edifici governativi color rosa pastello, con tanto di municipio e al centro la solita statua equestre.

Mi avvio verso il vicino museo regionale, ma la mia attenzione viene attirata da un muro dove sono affissi vari stemmi delle città vicine. C’è lo stemma di Taraz, con le mura di ingresso alla città (di cui non ne ho visto traccia), lo stemma di Kobdo, in ricordo della sua tradizione carovaniera e quello di Samarcanda, con il suo mausoleo in bella vista, che mi ha ricordato quanto vorrei visitare questa città.
C’è poi anche lo stemma di Fresno, con il grappolo d’uva, e quello di Chelyabinsk, una bella fabbrica con tanto di ciminiere e fumo inquinante.

Museo Regionale

Portate pazienza voi che entrate

Arrivo finalmente al museo, vado in biglietteria e… sorpresa, non c’è nessuno! Sento qualche passo risuonare nella grande hall, così mi sporgo verso un corridoio e vedo una signora che mi guarda con fare sospettoso. Inutile dire che non parlava neanche una parola di inglese, ma riesco a farle capire che sarei molto interessata a visitare il museo.
Mi guarda stranita e fa segno di aspettare nella hall. Torna poco dopo con una ragazza più giovane che mi guarda come se avesse visto un unicorno rosa. Confabulano qualcosa tra di loro finché la ragazzetta non va via tutta rossa in viso, come se avesse ricevuto uno sguardo dal ragazzo figo dell’ultimo anno.
Continuo ad aspettare. Di qualcuno in cassa neanche l’ombra. Mi siedo su delle sedie messe lì vicino, stanca, sudata per i 38° già presenti alle 10 del mattino e un po’ infastidita per tutto il tempo perso.
Arrivano altre 3 signore, le guardo speranzose, si avvicinano, si siedono vicino a me ma… non mi si filano proprio! Anzi, una signora si siede anche sulla mia stessa sedia! Anche sugli autobus e sulle mashurtka (quei furgoncini sgangherati che fungono da mezzi pubblici), se non si occupa l’intero posto stravaccandocisi sopra, ti troverai spesso qualcuno seduto proprio ad occupare quei 10 cm di posto che non hai occupato tu.
Un po’ seccata, dopo mezz’ora in cui tutti mi dicevano di aspettare faccio per andare via. Ma arriva lei, tipica donna in carriera, capelli rossi tinti che mi accoglie in inglese, contentissima di avere un visitatore europeo. Mi invita a visitare lo stesso il museo e di pagare all’uscita, visto che in cassa non c’è ancora nessuno.

Visita al museo

Inizio così la visita dalle due sale esterne, accessibili dal cortile interno, per poi passare ad un palazzo a cupola di cui gli innumerevoli guardiani del museo vanno molto fieri.

Solo qui è possibile fare foto, nel resto dell’esposizione è severamente vietato e non si può sfuggire, visto che ho la scorta che mi segue per accendermi la luce in ogni sala deserta in cui passo.
In questa sala circolare a due piani è esposta una bella collezione di balbal:stele antropomorfe che sicuramente raffiguravano personaggi di spicco della società di allora, come nobili e guerrieri, a volte anche con delle rune incise.
Il percorso porta poi in un’altra sala esterna con un accozzaglia di roba medievale e poi si passa nell’edificio principale, dove ci sono dipinti di battaglie, gioielli, animali impagliati, e cosa più importante, una bella yurta.
Finalmente, all’uscita trovo qualcuno in cassa, pago e mi ributto nel centro città.
Prossima meta, i famosi mausolei della città.
Per arrivare nel parco che li ospita bisogna attraversare un viale con delle sculture tanto enormi quanto discutibili. Ci sono vasi che vomitano cascate di fiori, un’enorme strumento musicale stilizzato, il tutto con sullo sfondo una moderna moschea bianca con le cupole blu.

I Mausolei di Taraz

Finalmente arrivo nel parco ma… prima di me arriva un intero bus pieno di donne in pellegrinaggio.
Ebbene sì, Taraz e in particolar modo questi monumenti sono luoghi sacri all’Islam e meta di pellegrinaggio.

Aspetto un po’ per non ritrovarmi nel caos della comitiva e, una volta lontani, mi inoltro nel parco.
Tra gli alberi e la fitta vegetazione inizio a vedere il Mausoleo di Karakhan. E’ una struttura dell’XI- XII secolo che racchiude le spoglie di Aulie-Ata, letteralmente Santo Padre.

Arrivo proprio mentre la comitiva sta uscendo frettolosa, così mi tolgo le scarpe, mi velo il capo ed entro.

Peripezie al mausoleo di Karakhan

Lo spazio è piccolissimo, e al centro c’è un grande sarcofago ricoperto da un drappo bianco. All’interno con me c’è un ragazzino e due signore che subito si siedono sui tappeti. Dietro di loro un uomo, basso e tarchiato, con un bastone in mano, che entra e chiude la porta.
Non capivo cosa stesse succedendo, ma il signore basso e tarchiato mi grida con fare minaccioso qualcosa facendomi cenno con il bastone di spostarmi. Mi sposto dalla parte delle due signore e del ragazzo ma lui ancora non contento mi grida qualcos’altro: dovevo sedermi. Il signore con il bastone inizia a cantilenare qualcosa. Ero nel bel mezzo di una funzione religiosa. Sinceramente non mi sentivo proprio a mio agio, non capivo cosa stesse dicendo, non sapevo cosa fare e soprattutto non sapevo se effettivamente potevo stare lì in quel momento.
Ad un certo punto il signore con il bastone inizia a rivolgere delle domande in kazako ai pochi presenti. Tutti rispondevano con fare solenne fin quando arriva il mio turno. Non avevo idea di cosa mi stesse chiedendo. Continuava a ripetermi la stessa domanda più volte e io lo guardavo impaurita, iniziando a fare cenno di no con la testa.
Non lo capivo. Mi viene in aiuto la signora accanto a me, che capisce che sono straniera. Mi chiede in un inglese stentato quale fosse il mio nome. Rispondo, lei lo riferisce all’uomo basso e tarchiato, che continua a chiedere il nome agli altri pochi presenti. Ma ormai la solennità del momento è spezzata. Così il signore con il bastone chiede alla signora di domandarmi da dove venissi. Rispondo “Italia”. E qui arriva la domanda dell’uomo in bianco.
“Sei musulmana?”.
Che cosa rispondo? Sì? E se poi mi fanno recitare qualche passo del Corano? No? E se mi cacciano fuori in malo modo? Decido di dire la verità.
Scuoto la testa e dico di no.
Cala il silenzio. L’uomo in bianco non era tanto contento, e le signore mi guardavano allibite. Il ragazzetto, invece, secondo me non capiva proprio cosa stesse succedendo.

Lieto fine

Dopo interi minuti di imbarazzante silenzio, la tensione viene smorzata dalla signora che mi dice “Felicità (in italiano, rimembranze di Albano e Romina), peace!”.
Così tutti iniziamo a sorridere, tutti tranne l’officiante della funzione religiosa che mi guardava ancora con sospetto.
La signora, ormai contenta di essere seduta accanto ad un’italiana, inizia a chiedermi, in un luogo così sacro, le ultime notizie su Sofia Loren, canticchia Toto Cotugno e cerca informazioni su Celentano.
Il signore in bianco ci riporta all’ordine, la funzione deve continuare. Faccio per uscire, ma la signora mi blocca e mi dice di restare, mi avrebbe mostrato lei tutte le mosse da fare con il corpo e con le mani.
A fine funzione, grande onore era quello di toccare il sarcofago sacro ad occhi chiusi, sentendone forse l’energia. Mi sembrava quasi di prenderli in giro, così non ho toccato il sarcofago. Ma l’officiante, finalmente non più arrabbiato, mi prende e mi porta dinanzi al sarcofago, mi fa apporre le mani con gli altri e mi fa chiudere gli occhi, il tutto mentre lui cantilenava qualcosa.
Non so ancora descrivere come mi sentissi durante questa esperienza, però è forse una delle cose più strane e interessanti che mi siano successe in Kazakistan.

Il mausoleo di Dauitbek

Dopo mi avvicino all’altro mausoleo, il più piccolo, costruito per Dauitbek, un vicerè mongolo del XIII sec. Osservandolo attentamente, si nota che è un po’ asimmetrico. Ma non è un errore. Non era molto ben voluto dai suoi sudditi, così lo costruirono volutamente storto.
Dopo tutte queste ore ho bisogno di due cose, mangiare e bere un caffè. Freddo, viste le temperature molto alte.

Dove mangiare e bere a Taraz (e altre disavventure)

Bosfor

Bel ristorante turco con dei tavoli all’esterno separati da edera rampicante. Peccato che non abbia ben capito da dove si entrasse. Spingo una porta lì vicino e mi trovo in un corridoio buio. Alla fine trovo una sala con dei divanetti in pelle nera. E lui, Mr. Kazakistan 2017, l’unico bello in una terra di brutti.
Perché in Kazakistan le donne sono carine, ma gli uomini proprio no. Tranne lui. Giovane, slanciato, braccio completamente tatuato, bel viso, preceduto da un batuffolino di pelo che zampettava verso le mie scarpe. Il gattino si mette così a giocare con i lacci delle mie scarpe e io mi innamoro. Del gattino, non di Mr. Kazakistan.
Rimango tipo 5 minuti a giocare con il gatto, e nel mentre il ragazzo, abbastanza stranito, mi chiede che cosa stessi cercando. Chiedo se posso mangiare qualcosa, pensando fosse il ristorante. Lui dopo qualche minuto in cui mi guardava come se fossi la pazza del villaggio (effettivamente ero tutta sudata e facevo le vocine strane per giocare con il gattino), capisce che mi riferivo al ristorante lì accanto. Mi scuso e vado via. Ancora non ho capito dove fossi capitata, anche se l’ambiente mi sembrava quello di una bisca clandestina, di un club per soli uomini o di un rivenditore di droga.

Comunque, al Bosfor si mangia bene, fanno delle pite buonissime a poco prezzo e la location è veramente molto carina.
Dopo mangiato ci vuole il caffè.

Sabayon Caffè

Locale di stile quasi occidentale, ottimo per la connessione veloce e gratuita e per i caffè freddi. Il personale parla anche inglese, le toilette sono pulite. Insomma, un angolo di Europa in Kazakistan.

Ormai si è fatta l’ora di riprendere il treno. Fermo la prima mashurtka e mi dirigo alla stazione.
La mia giornata a Taraz è stata molto intensa e non credo la dimenticherò facilmente.

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